domenica, Dicembre 22, 2024
EsperienzePortogallo

Andrea – Portogallo – Porto (gennaio 2011- luglio 2011)

Nome: Andrea     età 31Testina
studi: Laurea specialistica in Musicologia   lingue:inglese, francese, tedesco
primo contatto con l’Eu Direct: gennaio 2009
partenza: gennaio 2011

Progetto presentato pochi mesi prima del compimento del suo 31 compleanno, e Andrea ce l’ha fatta! Partito a inizio gennaio 2011 il nostro volontario goriziano resterà in Portogallo, precisamente a Porto, per ben 6 mesi. Il suo progetto: offrire alle nuove generazioni training informali in abito sociale e d’integrazione interculturale europea attraverso tecniche radiofoniche. Andrea avrà quindi l’opportunità di apprendere competenze nell’ambito del suono del broadcasting, del podcasting e della voce. 

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REPORT n. 1 (31 gennaio 2011)

Cari EuropeDirect, con lo scoccare della terza settimana dal mio arrivo in Portogallo, penso sia arrivato il momento di buttare giù due righe per voi!
Voglio fare subito una premessa: qui mi trovo molto bene, la gente è amichevole e sempre pronta a darti una mano, e proprio manca il tempo per potersi annoiare. Quindi se nelle righe che seguono leggerete anche cose non proprio lusinghiere sull’ambiente in cui vivo, queste non devono venire interpretate come delle lagnanze, o come un indizio di qualche malessere da parte mia. Già prima di partire ero fermamente convinto che per vivere al meglio questa esperienza sarebbe stato fondamentale armarsi di un forte spirito di adattamento; inoltre, che avrei dovuto fin da subito assumere l’atteggiamento di colui che sa che sul proprio cammino inevitabilmente incontrerà degli ostacoli, ma che al tempo stesso è consapevole che col tempo (e con un sorriso sulle labbra) in qualche modo tutto si aggiusta.
In altre parole, prenderla alla leggera.

Ed è proprio con questo atteggiamento che, ad esempio, neanche venti minuti dopo aver messo piede sul suolo portoghese, ho osservato i passeggeri del mio aereo, uno dopo l’altro, ritirare il proprio bagaglio dal nastro trasportatore e poi andarsene; tutti tranne sette persone, una delle quali ero io…
Viaggiatori più esperti, che facevano la fila assieme a me all’ufficio Lost and found, mi hanno raccontato che queste sono cose che accadono fin troppo di frequente quando si passa per l’aeroporto di Fiumicino. Ma al contrario di loro, io non mi sono lamentato del servizio disdicevole (dopo tutto ne avevo molto meno diritto: a differenza di me, le loro spese di viaggio probabilmente non erano coperte da altri…); mi sono solo vergognato un po’ del mio paese, quando ho dovuto riferire alle persone che mi stavano aspettando che la mia valigia era rimasta in Italia.
E comunque due giorni trascorsi con nient’altro che quello che già avevo addosso si sono rivelati essere nulla di grave.

Il posto dove dormo è molto particolare: si tratta di un appartamento al primo piano di un edificio posto in prossimità del polo universitario della città Guimarães (che, assieme a quello della vicina Braga, costituisce l’Università del Minho), ad una ventina di minuti di cammino dal centro storico protetto dall’UNESCO.
L’edificio, ammodernato di recente, un tempo doveva essere stato un castello o qualcosa di simile. Lo si capisce bene vedendo le pietre grezze del pavimento e delle pareti della sala da pranzo. Sopra l’angolo cottura, in un vano in cui si trova pure un forno tradizionale (tipo di quelli che si vedono nelle pizzerie, solo dall’aspetto più tradizionale…), si alza una sorta di colombaia che permette ai fumi e ai vapori della cucina di uscire, e al freddo e alle foglie degli alberi di entrare.
Pare che in estate, quando fuori farà molto caldo, al riparo di queste spesse mura si starà da dio… Adesso invece ci tocca battere i denti: l’edificio – come del resto (a quanto pare) tutte le case in Portogallo – è sprovvisto di un vero e proprio impianto di riscaldamento. Nelle camere ci si arrangia con delle stufette elettriche; in cucina, dove queste mancano, si cerca di restarci il minor tempo possibile. Bisogna ammettere però che la cosa ha anche i suoi vantaggi: semplicemente non occorre mettere il cibo in frigo perché questo si conservi!
La cosa ultimamente si è rivelata provvidenziale, da quando il frigo si è messo a congelare ogni cosa che si trovi al suo interno: quasi abbia deciso di mettersi in competizione col freddo della stanza! In realtà la causa del comportamento anomalo del frigo è da imputare allo sportello del congelatore, che, essendosi rotto, non è più in grado di impedire al gelo di invadere gli scomparti sottostanti.

Ma frigorifero a parte, l’appartamento in generale è pieno di trabocchetti: le docce sembrano state disegnate espressamente per creare un lago nella stanza, i lavandini dei bagni portano due rubinetti distinti che non ammettono vie di mezzo (uno è per l’acqua gelida, l’altro per l’acqua bollente), gran parte delle maniglie rimangono in mano, e già una volta sono venute le guardie del campus a liberarci perché eravamo stati chiusi dentro (la serratura della porta interna funziona solo da fuori e non da dentro), e così via. Nella stanza in cui dormo poi ci sono tanti di quei comodini inutili, ma nessun tavolino da poter usare come scrivania: allo scopo mi sono appropriato di una vecchia asse da stiro trovata in un angolo dell’appartamento, che uso anche per consumare i miei pasti (visto il gelo che c’è in cucina). Nella mia stanza poi, a differenza delle altre, manca la finestra: al suo posto c’è una feritoia posta a due metri di altezza che fa trapelare solo uno spiraglio di luce (può essere la una del pomeriggio, ma non me ne accorgo!); l’aspetto più negativo della cosa è che, mancando la finestra, è tecnicamente impossibile che mi dedichino una serenata.
(Seriamente, è una cosa che qui si usa ancora fare! Se ne occupano le tunas, gruppi musicali studenteschi esclusivamente maschili oppure femminili).

Ma il più grosso condizionamento da fattori ambientali è dovuto al fatto che il nostro appartamento si trovi esattamente sopra il famigerato BA (leggi bé-à, vale a dire Bar Accademico), una discoteca dove gli studenti (locali e stranieri) si radunano per concludere la serata dopo aver sbevazzato nei locali del centro storico – vale a dire fra le 2 e le 6 di mattina. E questo succede grosso modo ogni notte, dal martedì al venerdì, con l’appuntamento fisso del mercoledì universitario.
Che dire…
Povero zio Andrea!
Alla sua età! Ce la farà a sopravvivere a questa condanna a sei mesi di divertimento forzato?
Per ora, questa mia nuova condizione di “schiavo del ritmo” la sto sopportando abbastanza bene, e ho già sperimentato che, volessi qualche notte prendermi una licenza, riuscirei pure a dormire, nonostante i vicini rumorosi.

Ma quello che faccio nella discoteca sotto casa, e ancor meglio nei baretti del centro, in realtà fa parte integrante del nostro servizio volontario. Il nostro compito principale infatti sarà quello di coinvolgere gli studenti stranieri nelle attività culturali organizzate dalle associazioni legate all’università, in particolare dalla RUM – Rádio Universitária do Minho (vale a dire la mia organizzazione di accoglimento).

Assieme a me ci sono altre tre volontarie – due ragazze polacche e una austriaca – alle quali forse si aggiungeranno due ragazzi turchi, che, a causa di problemi coi visti, per ora nessuno sa se e quando arriveranno.
Le ragazze polacche stanno in un dormitorio a Braga. La ragazza austriaca invece vive con me nel “castello” di Guimarães (e pare già essersi appropriata del ruolo di principessa, assegnando a me quello del servitore…).

Sul progetto che porterò avanti ho ancora poco da dire. Al momento siamo fermi alla parte formativa, in cui ci vengono illustrate le attività dell’Associação Académica e della Radio, oltre che fornite alcune nozioni teoriche sulla organizzazione e gestione di eventi culturali.

Una meravigliosa contraddizione mi ha subito colpito: come al mattino il nostro tutor ci snoccioli definizioni americane di “pianificazione”, “progetto”, “gestione del tempo” e via dicendo, quando la realtà in cui siamo immersi corrisponde invece in tutto e per tutto a quanto uno si possa aspettare da un paese latino…
Quindi da un lato Carlos ci spiega l’importanza di calcolare i tempi, prevedere in anticipo gli eventuali imprevisti e le relative soluzioni ecc. ecc., dall’altro ci imbattiamo quotidianamente in inefficienze, contrattempi, intoppi, malintesi e complicazioni burocratiche varie che fanno sì che per fare quattro sciocchezze si perda una marea di tempo (ma che a volte ci fanno anche ridere della grossa!).

In effetti qui le cose tendono ad essere piuttosto macchinose, e, a volte, apparentemente senza senso…
Ad esempio la questione dei biglietti della corriera! Non entrerò nel dettaglio della cosa, basti sapere che la grana consiste nel fatto che si sono esauriti i biglietti speciali (di colore rosa) che consentono a noi volontari di usufruire del servizio delle corriere dell’università, perciò nel frattempo, per fronteggiare l’emergenza e in attesa che ne stampino degli altri, ci vengono somministrati giornalmente i biglietti ordinari (questi di colore blu!), normalmente utilizzati dagli studenti… – poco male, se questo non mi costasse la perdita di tempo di una camminata quotidiana verso l’ufficio dei biglietti. Perché si rifiutino a fornirci un pass valido per sei mesi che risolverebbe ogni cosa, questo non l’ho ancora capito…

Altra cosa poco pratica è l’approvvigionamento di cibo, per il quale siamo spesati: la cosa è organizzata in modo tale da farci perdere sistematicamente un pomeriggio solo per fare la spesa. Spesa che possiamo fare (vista la complessità della cosa) solo due volte al mese. Disponiamo infatti di un credito mensile di 100 euro a testa valido esclusivamente in un centro commerciale di Braga con cui loro sono convenzionati. Ciò comporta per noi un viaggio di 40/50 minuti di corriera verso Braga e il disagio dell’impossibilità di rifornirci di alimenti deperibili (non potendoci fidare troppo del frigo!), per la loro segretaria invece il doverci venire a prendere, accompagnarci al centro commerciale, aspettarci mentre facciamo gli acquisti, e poi infine riportarci a casa a Guimarães! Ma in questo caso capisco che non si possa fare altrimenti: è un sacrificio che s’ha da fare, e noi siamo stati designati come le vittime da immolare per mantenere la benevolenza dello sponsor!
E poi ancora: chiamano degli operai per fare dei lavori nell’appartamento, e gli operai quando si presentano non fanno i lavori richiesti, ma altri che NON DOVEVANO fare… E la donna delle pulizie ormai la stiamo aspettando come gli Ebrei aspettano il Messia (anche se dobbiamo ammetterlo, già stiamo perdendo la fede…).
Ma capisco bene tutte queste situazioni (sebbene alcune questioni rimangano tuttora misteriose): sono cose che inevitabilmente succedono, quando è una sola persona a doversi occupare di tutto…

(Recentemente ho parlato con una ragazza che ha partecipato allo SVE dell’anno scorso e che poi ha deciso di rimanere a vivere qui in Portogallo: abbiamo riso un sacco! Nonostante tutte le promesse non è cambiato nulla! Mi ha confermato che tutte le beghe riguardanti la casa e l’organizzazione sono le stesse dell’anno passato! Tutte, dal frigo, ai biglietti rosa, alla vana attesa della donna delle pulizie!)

Vorrei chiudere con una raccomandazione per coloro che vorranno venire in Portogallo: ragazzi, portatevi da casa degli adattatori di corrente! Io sono rimasto per una buona settimana senza poter usare il mio computer portatile semplicemente perché qui le prese hanno due fori, mentre la spina del mio alimentatore ne avrebbe bisogno di tre…
È curioso come questi portoghesi abbiano conservato un certo senso della meraviglia che gli ha accompagnati nel corso della loro storia: in passato hanno scoperto nuove rotte marittime, nuovi continenti, sono stati i primi ad entrare in contatto con civiltà esotiche, a vedere bestie da fiaba mai viste prima… E ora eccoli qui a guardare sbalorditi la messa a terra della mia spina a tre, quasi si trattasse di un prodigio: “Mai vidi nulla di simile!”, continuavo a sentirmi rispondere. E di trovare un adattatore per la mia spina, perfino nei negozi specializzati, neanche a parlarne.
Ma alla fine si trova una soluzione a tutto, e nel mio caso era talmente ovvia: perché incaponirsi a voler trovare un adattatore che qui non esiste quando è possibile cambiare il cavo?

Un saluto e un abbraccio!

Andrea

Report 2 – Giugno 2011
Cari Europe Direct,
è incredibile come il tempo qui in Portogallo scorra velocemente!
A volte mi sorprendo nel constatare che da quando mi trovo qui sono già trascorse tre stagioni!
Lontani sono i giorni in cui letteralmente battevo i denti chinato sul fornello elettrico ad aspettare che salga il caffè, tra un violento accesso di tosse e l’altro, in una casa grande, vuota, umida e tetra!
E pure mi sembra l’altro giorno quando al rincasare dovevo reprimere i conati di vomito causati dal tanfo di putrefazione proveniente dalla carcassa del gatto venuto a morire nel mio cortile… da quei poveri resti che nessuno osò toccare, per un misto di pigrizia, disgusto, genuina curiosità e sacro rispetto (oltre che per la mancanza di attrezzi necessari)…
Ma anche quei giorni sono lontani, nel frattempo la natura, impaziente nei confronti della nostra inerzia, inesorabile ha compiuto il proprio corso, portandosi via la nostra macabra mascotte: ora del gatto non è rimasto altro che una manciata di ossicini frantumati e sparsi a biancheggiare al sole sotto la porta-finestra della nostra cucina…
Ed ora eccomi qui, oramai quasi in partenza per l’Italia, a scrivere queste righe in una casa che già non mi appartiene, essendo stata eletta a rifugio di peccatori nonché a luogo di ritrovo della comunità turca di Guimarães!

Sì, di acqua ne è passata sotto i ponti, come pure ne è colata lungo le pietre delle pareti della mia cucina nel corso di questi mesi trascorsi nel piovoso nord del Portogallo…
Ormai pare lontano pure il ricordo della mia prima coinquilina, la giovane volontaria austriaca di origini filippine con cui ho condiviso l’appartamento durante il primo mese di servizio. Per me fu una sorpresa l’annuncio, una volta rientrati dall’on arrival training di Lisbona, della sua decisione di abbandonare il progetto. La cosa all’epoca mi contrariò molto, col senno di poi mi rendo conto di come abbia fatto la cosa giusta: il progetto alla fin fine non si è rivelato essere così formativo dal punto di vista professionale come tutti noi ci aspettavamo, e lei aveva altre priorità, alternative migliori e grandi ambizioni. L’unica cosa che le rinfaccio è di non aver rinunciato prima di arrivare qui, dal momento che i motivi che l’hanno condotta ad abbandonare esistevano ben prima dell’inizio del progetto: avrebbe potuto lasciare il posto ad un altro volontario di certo più motivato e che avrebbe trovato l’esperienza interessante.

E del resto la sua presenza qui era disturbante, ed è stato meglio che se ne sia andata: aveva strane idee, bizzarre abitudini, brutti vizi e atteggiamenti sconcertanti.
Evidentemente abituata ad essere servita in tutto e per tutto, era del tutto impreparata ad una vita indipendente e a convivere con altre persone alla pari: incapace addirittura di sbucciare un’arancia (è la ragione per cui mangiava mandarini…), figuriamoci se era in grado di cucinare! Come se non bastasse, pareva non porsi problemi che normalmente qualsiasi persona si porrebbe: nel momento in cui, di fronte all’assenza di un suo qualsiasi segno di volontà di collaborare (e con la speranza che si svegliasse una buona volta per tutte!), io smisi di farle da ristorante e da agenzia di pulizia, la stato della casa raggiunse un tal livello di degrado da richiedere l’intervento del nostro coordinatore!
Incapace addirittura di gettare nella spazzatura gli avanzi non consumati del proprio pasto, questi potevano rimanere abbandonati nel piatto sul tavolo per giorni e giorni! Ero addirittura arrivato a festeggiare il compleanno dei resti incrostati di una fetta di formaggio brie fuso nel microonde (il suo piatto preferito…), che smisero di soffrire grazie all’intervento della mia mano pietosa alla tenera età di tre settimane!
Tentai di evitare scontri e di farle capire la gravità della situazione per mezzo dell’ironia, ma l’unica reazione che potevo ottenere era una risata fanciullesca!
Ebbene sì, viveva in un mondo tutto suo e di cui noi evidentemente non eravamo abbastanza degni di farne parte, fatto di idee elitarie, sempre chiusa nella sua cameretta a creare ‘arte’ (di cui era gelosa e che nessuno di noi ebbe modo di vedere) e costantemente incollata al computer per parlare via Skype a ogni ora del giorno e della notte con il fidanzato, ‘artista’ pure lui, che stava a Londra.
E così, spazientita e delusa di fronte ai grandi tempi morti e alle lunghe attese che caratterizzarono il primo mese di servızio, Cheryl decise di volare a Londra per unirsi definitivamente al suo “fiancé”, con mio grande, infinito sollievo.
Già, in seguito a questa breve convivenza con lei posso dire di aver imparato ad apprezzare ancor di più la solitudine, come pure ad approcciarmi con maggiore diffidenza alle esposizioni di arte contemporanea…

Seguì un mese durante il quale ho vissuto da solo, trovando il mio equilibrio e la mia serenità. Accolsi dunque molto male la notizia dell’imminente arrivo di due nuovi volontari dalla Turchia!
Fu un duro, brutto colpo. Un pessimo pesce d’aprile. All’inizio proprio non riuscivo ad accettare la presenza di Veli e Uğur (leggasi ‘u-ur’): parevano due pesci fuor d’acqua, lo shock culturale per loro parve essere grande, lo scarso livello del loro inglese rendeva molto problematica la comunicazione fra di noi, ed io sapevo di non avere la pazienza per fare loro da baby-sitter.
Ma alla fine la pazienza io l’ho trovata, loro si rivelarono essere due persone simpatiche, e la barriera linguistica la tentammo di superare con mezzi di fortuna, affidandoci alla mimica o dialogando per mezzo del traduttore automatico di Google – che però spesso non ha dato prova di essere totalmente affidabile, dando spesso risultati esilaranti.
Subito li presentai agli studenti turchi di Guimarães, che li accolsero volentieri, ed io mi decisi a tempo perso ad imparare un po’ di turco… Ben presto la nostra casa si trasformò in punto di ritrovo degli studenti turchi, destinato alle attività più varie: casa da tè, bar dello sport, internet café, bisca, cucina collettiva, ostello, ma soprattutto luogo dove consumare bevande alcooliche – cosa che da parte loro a volte ho quasi l’impressione si tratti di un gesto politico, vista la piega conservatrice presa dal governo del loro paese… Mah!

Ovviamente il mio servizio volontario non si è limitato al conquistare l’amore della comunità turca, tuttavia intorno all’aspetto lavorativo non dirò molto, lasciandolo all’immaginazione del lettore, limitandomi a dire che si è trattato di intrattenere la comunità degli studenti Erasmus dell’Universidade do Minho con attività più o meno culturali.

Ne darò comunque un esempio, copiando qui sotto il link al comunicato stampa di un’attività che ho ideato e organizzato in prima persona: “Erasmus Language Café – Talk dirty with cultur@rum!” (e, perché no, invitando chi legge a partecipare al progetto inviando contributi all’indirizzo di posta elettronica che si trova in fondo al testo).

http://erasmuslanguagecafe.wordpress.com/2011/03/14/talk-dirty-with-culturrum/

Questo è tutto, ci vediamo fra breve, con un po’ tristezza, a Trieste…

um abraço,
Andrea